In questa pagina parlo di film, libri, mostre d’arte, canzoni o cantanti che mi hanno donato qualcosa negli ultimi tempi. Non vuol essere una rubrica specialistica, ma solo un omaggio a chi mi ha allargato il cuore e la mente.

Biennale di Venezia 2024. Un’opera dell’artista libanese Mounira Al Solh, all’Arsenale.
Secondo il sito della Biennale: “Il padiglione libanese ha invitato l’artista Mounira Al Solh a creare un ponte tra mito e realtà. La sua installazione multimediale A Dance with her Myth – che combina pittura, disegno, scultura, ricamo e video – immerge i visitatori nell’antica Fenicia attraverso moderne tecniche plastiche e visive.
L’installazione affonda le sue radici in un racconto mitico: il rapimento della principessa Europa su una spiaggia della città di Tiro da parte del dio Zeus, che assunse le sembianze di un toro bianco. La rivisitazione dei racconti mitologici apre alla riflessione critica e alla definizione di prospettive alternative.
Il viaggio che l’artista ci invita a intraprendere, seguendo le orme della principessa Europa, porta alla realizzazione di un destino femminile affrancato dall’influenza degli “dèi”, che fa propri il ruolo e le responsabilità tipicamente associate agli uomini, senza subirli, ma aspirando, piuttosto, a un diverso stato dell’essere.
Questa reinterpretazione del mito crea uno spazio retorico e visivo che celebra l’emancipazione, la libertà, l’uguaglianza, l’impegno e la solidarietà. Il padiglione libanese presenta questa mostra al pubblico con l’obiettivo di alimentare la consapevolezza sociale e politica collettiva attraverso il potere trasformativo dell’arte.”
Scritto su Facebook il 3 febbraio 2025
La vita è fatta di sincronicità, le mie sono quelle che ora vi racconto.
Ieri sera mi sono gustato al cine l’ultimo film su Ulisse, Itaca – IL ritorno, con Ralph Phiennes e Juliette Binoche, eccelsi (meglio invece stendere un velo pietoso sugli attori che interpretano Telemaco e i Proci, imbarazzanti. Immagino che li abbiano pagati molto poco, altrimenti non si spiega la loro scelta).
Ulisse mi ha accompagnato per tutta la vita, in maniera non volontaria, subliminale, oserei dire archetipica se non corressi il rischio di sembrare un pallone gonfiato. Se lo fossi, pungetemi con uno spillino, meglio fare il botto in questo modo.
Ho utilizzato il nome di Ulisse per il mio sito per una serie di circostanze all’apparenza casuali, anche se ho sempre pensato che il caso non esiste.
Quando nel 1996-1997 stavamo fondando il gruppo degli allievi di Lisa Morpurgo e non sapevamo che nome dargli mi venne in mente la frase finale del Convitato di Pietra, in cui LM scrisse “Forse, nel morbido cielo notturno già i feaci ci osservano, pronti all’accompagno”. Per chi non lo ricordasse, i feaci sono un mitologico popolo che riporta Ulisse a Itaca, dopo il suo peregrinare.
Non pensavo a quello che sarebbe potuto accadere anni dopo, quando in seguito a problemi irrisolvibili con quelli che un tempo erano stati miei compagni di avventura, decisi di proseguire in solitaria il mio viaggio, con il mio sito. Che chiamai, con somma incoscienza, la Rotta di Ulisse, perché quella era ed è. Anche ora che ha cambiato barca ed esplora gli oceani del sapere astrologico ed è www.larottadiulisse.net.
La cosa singolare, sincronica, è che il mese prima di inaugurare il sito, andai con un amico a Malta – era gennaio, figurati – e scoprii allora che nell’isoletta accanto, Gozo, c’era quella che si dice fosse la grotta di Calipso. Dettaglio ancora più rilevante, quell’amico qualche mese dopo mi presentò quella che è diventata la mia migliore amica, che abitava al quartiere ISOLA di Milano. Questa amica mi ha fatto conoscere tanti anni dopo il grafico che ha dato la nuova impronta al sito. Questa amica poi aveva un’amica che aveva un figlio che si chiamava Ulisse e un’altra che aveva fatto la tesi di laurea sull’Ulisse di Pavese. Tanto per rimarcare le sincronicità, che non ho cercato. L’amico, dimenticavo, possedeva un furgoncino Ulysse della Fiat. Da notare che lo avevo conosciuto dopo che avevo deciso di fare il sito e non sapevo che auto avesse, giusto per amore di chiarezza.
Da allora , dal 2008, continuo a navigare in solitaria, approdando di tanto in tanto su isolette che mi paiono porti sicuri, ma che poi scopro essere trappole o semplici tappe intermedie necessarie per riposo e approvvigionamento.
Verso quale meta sto andando non saprei. Non ho una Penelope che mi aspetti a Itaca, anche se anni fa, senza pensare alle sincronicità, imparai a usare il telaio e feci un paio di tappetini. Poi non li disfacevi di notte, dopo un annetto vendetti il telaio. Accadde quando Urano—tessitura tappeti per chi non lo sapesse – era in trigono al mio Sole, giusto per non avere l’illusione che le cose capitano a caso.
Così proseguo nella mia rotta, inseguito dalle sincronicità che al momento sembrano insistere un po’ meno. Non ho l’astuzia di Ulisse, un pizzico di intelligenza e tanta inquietudine però sì. E continuo a vagare solo nel cielo stellato in cerca di una meta, certo che nel momento in cui dovessi trovare Itaca morirò. Meglio sognarla, dunque. Di tanto in tanto trovo qualche compagno di viaggio che mi accompagna per un tratto. Ne ho avuti di incantevoli, poi ciascuno va per la sua strada.
A Itaca intanto i Proci importunano Penelope, Se dovessi tornare farei una strage. Meglio sentirsi solo che spargere sangue.
Come dice l’immenso Kostantinos Kavafis: “Se per Itaca volgi il tuo viaggio, fa voti che ti sia lunga la via, e colma di vicende e conoscenze. (…)”


Scritto su Facebook il 26 gennaio 2025:
Sono nato capatosta e capatosta morirò.
Drive my car, lo avevo visto al cinema con una mia amica. Anzi tutti e due avevamo visto una mezz’ora di film a testa, per fortuna non la stessa, e per il resto avevamo dormito. Su tre ore di film di una lentezza esasperante, va detto, di mattoni ne vedo ogni giorno e sopravvivo anche con allegria. In due, non eravamo riusciti a mettere insieme la trama, a posteriori. Anche se all’incirca la avevamo capito ma restavano tutta una serie di buchi.
In parte mi ero stupito del successo internazionale di critica, oscar al miglior film straniero, ma in parte anche no. Ossia per quello che avevo visto mi sembrava un film mal fatto che aveva però tante cose da dire, e le diceva.
Visto però che ho la tendenza a non darmi sempre ragione, nel momento in cui ho ritrovato il film su RaiPlay mi sono detto che dovevo riprovarci.
L’ho fatto una prima volta e dopo un quarto d’ora l’ho abbandonato. Tra venerdì e ieri, con ampie pause di sopravvivenza perché mica voglio finire in paradiso – dubito fortemente della sua esistenza – l’ho visto e ora posso dare un mio parere. Giudizio è una brutta parola perché lascia trasparire supponenza e fino a quando non riuscirò a produrre qualcosa di analogo non posso sparare sentenze. L’opera dell’artista va comunque rispettata, anche quando riesce male.
Confermo in parte il parere iniziale, ossia Drive my car è una grande o grandissima storia raccontata spesso male. Con una lentezza esasperante – Sergio Leone era lento, ma non annoiava mai, nonostante tutto – con una recitazione a volte raffazzonata, con inquadrature sciatte che registi molto meno importanti avrebbero fatte più movimentate. In parte si tratta della differenza culturale tra quella giapponese e la nostra, in parte no. Kurosawa e Ozu sono due geni del cinema , ma di cose noiose e sciatte non ne hanno mai fatte, anzi.
Eppure, nonostante la parziale stroncatura, il film di Ryūsuke Hamaguchi tratto da una novella di Murakami, ha una sua grandezza faticosa, che ti colpisce l’anima. La storia del regista che rimane vedovo e che incontra questa ragazza autista che gli guida l’auto rossa e con cui si confronta su grandi temi dell’esistenza ti centra l’anima, ma lo fa formalmente male.
Mi chiedo però se il regista non sarebbe riuscito a fare un vero capolavoro se avesse trovato qualcuno che gli correggesse l’inquadratura, fosse più severo con gli attori, gli dicesse di tagliare, velocizzare, dare un vero montaggio al film. Il film è anche questo.
I grandi capolavori sono fatti di questo.
Qualcuno lo dica ad Hamaguchi. Con tutto il rispetto per uno sforzo grande e con un pizzico di rabbia perché non ha seguito queste minime regole. Se lo avesse fatto gli avrei acceso un cero nella mia stanzetta di cinefilo. Ora la candela si spegne in continuazione, lo stoppino è troppo corto.
Ma io non sono nessuno. Anzi no, sono uno spettatore, quello a cui il regista si rivolge. Forse, artisti, dovreste tenerne conto, non compiacendovi troppo con la vostra arte. Che pure è arte ma potrebbe anche diventare sublime, con un minimo di cura in più.

Scritto su Facebook il 12 gennaio 2025:
“Tanta, tanta roba.
E’ tragedia, è commedia, è arte, è kitsch, è sopra le righe, è tutto quanto.
E’ narcotraffico, è solidarietà, è maschio tossico, è trans, è lesbica, all-in-one. E’ musical, è tragedia, è Svizzera, è soprattutto Messico, raccontato da un francese geniale.
A tratti un capolavoro, a tratti imperfetto, imprevedibile, scontato, all-in-one. Giri l’angolo e non sai cosa ti aspetta. Tutto insieme per raccontare amore, morte, desideri, sconfitte. Per mettere in scena la vita trasfigurata dall’arte, o da quello che le somiglia.
Emilia Perez, tutto sarà ma non può lasciarti indifferente.
Colpisce alle parti basse, in tutti i sensi, e ti porta al paradiso e all’inferno. Dipende dalla direzione che vuoi e sai prendere.”

Scritto su Facebook il 6 gennaio 2025:
“Devo far spazio nella mia top ten libraria per aggiungere un altro volume. Olga Tocarczuk, ti amo alla follia, qui lo dichiaro.
Mi ha incantato. Per l’amore incommensurabile dell’Autrice per la natura e i suoi abitanti, in particolare le specie non dominanti e sottomesse all’uomo, per il rigore etico fuori da ogni schema e pregiudizio, nella direzione della follia del cuore, per avermi condotto in un angolo sperduto di mondo dove tutto sembra scritto e dove tutto si può stravolgere. Per cercare giustizia, per vedere come è l’ordine universale già scritto nelle stelle e che noi non sappiamo capire ma che ci sovrasta come il macigno della verità intrinseca a ogni cosa.
Magari provi a confondere gli indizi e ti affidi alla tua pazzia per gridare quello che senti, se la giustizia degli umani non ti sa ascoltare.
Con un furore e rigore etico che mi ha ricordato Dürrenmatt e Leonardo Sciascia, anche se la storia è del tutto differente.
Amatelo come l’ho amato io, sarete felici.”

Scritto su Facebook il 4 gennaio 2025:
“”Credo che ognuno di noi, guardando il proprio Oroscopo, percepisca una grande ambivalenza. Da un lato è orgoglioso del fatto che nella sua vita individuale il cielo si imprima come la data di un timbro postale sulla busta, in questo modo egli è contrassegnato, unico nel suo genere . Ma nello stesso tempo è un imprigionamento nello spazio, il tatuaggio di un numero carcerario. Da questo non si scappa. Non posso essere diverso da quello che sono. È terribile. Preferiremmo pensare che siamo liberi e che in qualsiasi momento possiamo crearci di nuovo. E che la nostra vita dipenda da noi. (…)
Quindi sono convinta che bisogna conoscere a fondo la nostra prigione.”
Olga Tokarczuk, Guida il tuo carro sulle ossa dei morti
Il segreto sta forse nell’arredare al meglio la propria prigione. È quello che cerco di fare con i miei consultanti.
Aspiro ad essere un arredatore di anime
Scritto su Facebook il 15 dicembre 2024:
Ho due libri del tutto antitetici in cui mi rifugio quando ho voglia di buona letteratura che mi faccia amare il mondo nonostante le sue brutture. Uno è Orgoglio e pregiudizio della Austen, l’altro è Cent’anni di solitudine di Marquez. Poi giusto perché non sono univoco, gli altri miei libri preferiti sono L’isola di Arturo della Morante, Cecità di Saramago e Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos. Incoerenze letterarie mie a parte, quando ho visto su Netflix la pubblicità della serie di Cent’anni di solitudine pensavo al disastro, mi sono detto che mai e poi mai la avrei guardata. Poi l’altro giorno un’amica mi dice “No, guardala, è fatta molto bene.” Le ho dato retta certo che se non mi avesse preso la avrei abbandonata subito.”
Al momento sono alla quarta puntata, a differenza di altre serie secondo me qui non va fatto il binge watching, però mi piace. Non da impazzire ma mi ritengo soddisfatto. Anzitutto perché è del tutto fedele al romanzo, fino ad ora, impresa che sulla carta pareva impossibile, in quel groviglio di personaggi, nell’andare avanti indietro e di fianco nel tempo, nella confusione degli stessi nomi assegnati a personaggi di generazioni differenti.
Riesce a rendere il flusso della narrazione immensa e disarticolata nel mondo della fantasia. Per paradosso, se Marquez è cantore del realismo magico, qui nonostante quanto narrato sembra siamo più sul versante del realismo che della magia. Ossia la magia diventa normale e accettabile.
Vero che gli attori, soprattutto i maschi, sono abbastanza anonimi e mi mancano i colori rutilanti del romanzo, che c’erano invece in un film mal riuscito tratto da Marquez, Cronaca di una morte annunciata.
Eppure, con un paesaggio triste che non è quello che immaginavo e attori così così, riesce a prenderti lo stesso, e non è poca cosa. Anzi.
Guardatelo, merita.”

Scritto su Facebook il 10 dicembre 2024:
“Un incanto. Ti mette in pace con la vita, anche se parla di morte e di libera scelta di andarsene quando si vuole, se si vuole.
La stanza accanto di Pedro Almodovar è un film che commuove per sottrazione, il dolore è sussurrato, la lacrima rimangiata, l’affetto mostrato con la presenza, non con proclami altisonanti.
Così Tilda Swinton, che vincerà l’oscar per la miglior attrice salvo ingiustizie colossali, spiega le sue ragioni, non si piega in quattro per il dolore, ama la vita e proprio per questo sa quanto si è ancora vivi davvero e non avrebbe senso andare oltre.
Alza un sopracciglio e ti ammalia, guarda in tralice la macchina da presa e ti colpisce diritta al cuore. Julianne Moore fa altrettanto.
Almodovar, ti avevo dato per incapace di ricreare altri capolavori e invece no, mi hai fregato.
Andate a vedere La stanza accanto se amate la vita, anche se parla di morte.
A proposito, io ho firmato in comune per evitare che qualcuno decida per me nel caso mi ritrovassi nell’incapacità di farlo, e ho designato mio fratello e un’amica come esecutori delle mie volontà.
Se del caso, nel frattempo vivo.

Scritto su Facebook il 15 novembre 2024:
“Da grande voglio diventare come Clint Eastwood. In alternativa, come ho già detto, come Ornella Vanoni ma dovrei prendere lezioni di canto e non credo di essere adatto.
Mister Eastwood ha 94 anni e continua a sfornare film. Il penultimo era inguardabile, ho rimosso anche il nome. Pensavo che fosse uno stonato canto del cigno. Poi qualche settimana fa vedo un trailer di un legal movie che mi sembra molto ben fatto e scopro che la regia è di Clint. Mi stupisco, e leggo critiche molto buone. Non resta che andare a vederlo, la sera in cui esce al cine, sono nato impaziente.
Ecco, un film incantevole, senza una inquadratura di meno né una inquadratura di troppo, con una recitazione superba. Una Toni Colette da oscar – guai all’Academy se non la candida – ma anche di tutti gli altri con un progressivo svelare di sentimenti grazie a mezze occhiate, muscoli contratti, bocche che esprimono sentimenti variegati, capaci di andare in una direzione o in quella opposta.
Lasciando aleggiare sempre il dubbio sulla natura dei sentimenti umani, mutevoli e egoisti, perché la natura umana è quella. E Eastwood da uomo con due espressioni, con cappello e senza, si è rivelato film dopo film come un grande filosofo morale, capace di raccontare la natura dei sentimenti partendo da romanzi di serie b. Grazie a lui arrivano all’arte. Andatelo a vedere, vi prego. E anatemi e vituperi per l’eternità all’Academy se non lo candida agli oscar.
Clint, qui te lo ribadisco, da grande voglio diventare come te.”

Scritto su Facebook il 13 novembre 2024:
“Ho una grande fortuna, intellettualmente parlando. Continuo a innamorarmi a ogni piè sospinto se vedo qualcosa di ben fatto che mi coinvolge emotivamente. E’ risuccesso ieri sera con la versione restaurata del docufilm di Jonathan Demme su un concerto a Los Angeles di uno dei gruppi più sperimentali ma trascinanti degli anni Settanta Ottanta, i Talking Heads. Non vidi “Stop Making Sense” nell’83 forse perché la vita mi voleva premiare quarant’anni dopo. Se vi capita non fatevelo sfuggire.
E’ raro che il pubblico a fine film applauda in sala. Io l’ho fatto per David Byrne e per Jonathan Demme (con una regia incredibilissimissima, con inquadrature sui singoli movimenti di ogni artista). Sarei anche salito sulla poltroncina del cinema per ballare, ma avevo paura che mi arrestassero, ma non sono riuscito a stare fermo per novanta minuti.
Nota bene che non sono affatto nostalgico, ma i Talking Heads, la loro musica e il film sono sicuramente molto più avanti musicalmente ed esteticamente di gran parte della musica attuale.
PS: Ciliegina sulla torta. A presentare la serata c’era Carlo Massarini, l’elegantissimo Bilancia che negli anni Ottanta a tarda serata sulla RAI (non c’erano ancora le TV private e tanto meno internet, figurati) presentava Mister Fantasy, dove venivano presentate tutte le cose d’avanguardia musicale del periodo. Regge molto dignitosamente Massarini. “
https://www.youtube.com/watch?v=-rjMwSTeVeo

Scritto su Facebook il 12 novembre 2024:
Capisco che non tutti abbiamo gli stessi gusti e le piattaforme guardano soprattutto ai loro interessi economici. Ma ora leggo che, oltre alla mia adorata Prisma su Amazon Prime, anche Netflix si rifiuta di produrre la terza stagione di Tutto chiede salvezza. In entrambi i casi la seconda stagione è anche meglio della prima, già eccellente. In compenso ho visto le dieci serie o film più visti su Netflix e, a parte un paio di cose, mi pare che la qualità media dei prodotti in cima alla classifica – lo so, sono snob, e me ne vanto – fanno sembrare le telenovela del Guatemala una specie di Divina Commedia on demand.
Ecco, io sono contento se codeste cagatine piacciono a tanti, ma visto che incassate miliardi di euro non potreste accontentare anche la minoranza con la puzza sotto il naso e produrre anche i prodotti di nicchia. Suvvia? Fate uno sforzo.
Tra l’altro in Tutto chiede salvezza c’è una Drusilla Foer da oscar. Non oscar televisivo, oscar vero. Strepitosa.


Scritto su Facebook l’11 novembre 2024:
Non la conoscevo. Mi ha smosso l’anima. siamo solo conchiglie sparse sulla spiaggia.
Scritto su Facebook il 27 ottobre 2024:
Ieri avevo voglia di cinema, come mi capita praticamente sempre da quando sono nato, e ho scelto scartando quello che non mi interessava.
Mi è rimasto Megalopolis, nonostante le critiche pesanti ma sulla fiducia rispetto al grande nome del regista, Coppola.
Non mi aspettavo nulla, anzi speravo di sopravvivere a un film a detta di molti sbagliato. Invece mi è piaciuto tanto, tantissimo.
Nonostante abbia pecche narrative che in altri casi mi avrebbero fatto imprecare.
Eppure è uno dei film più belli visivamente e stilisticamente che abbia visto, e ne ho visti tanti, con miliardi di citazioni cinematografiche e letterarie colte e coltissime, che spaziano dal basso e bassissimo, al trash, fino a Shakespeare, Catullo, Saffo, Cicerone, Batman e i ragazzi della 56esima strada in salsa distopica. Troppo, sicuramente troppo, ma quando il troppo è narrato con eccelsa maestria e un uso incantevole della fotografia, degli effetti speciali, del ritmo, dello stupore, del cambiare i piani narrativi variando di registro stilistico, allora non è sbaglio, è stile.
Immenso Coppola, sarai pure trash, ma ben venga il trash se il risultato è questo.
Non piacerà a tutti, lo so, ma io l’ho adorato.

Scritto su Facebook il 24 ottobre 2024:
Mahmood, Il più moderno e internazionale di tutti.
Unico, eccezionale.
https://www.youtube.com/watch?v=6bXM8EGL5TI

Scritto su Facebook il 23 ottobre 2024:
Ma come siamo messi?
Almeno, quando un rider vi porta a casa una pizza dategli la mancia, creature senza vergogna.
Sabato sera ho giusto visto il film francese sulle disavventure di un rider, “Storia di Souleymane” e credevo che certe storie fossero un po’ esagerate, o non capitassero da noi. Invece accadono pari pari. Il rider che a Bologna ha consegnato le pizze e altre cose sotto il diluvio si è fatto intervistare dal Corriere a patto che non venisse svelato il suo nome, altrimenti l’app da cui dipende gli sospenderebbe l’account e non potrebbe più lavorare.
Si vergogni di brutto l’app e si vergognino anche quelli che hanno preso il cibo senza dargli un euro di mancia. Vergogna.
“Il rider che ha lavorato durante l’alluvione a Bologna”:
«Avevo l’acqua ai polpacci: otto ore di consegne, 120 euro e nessuna mancia»
di Alessandra Testa
Harshad, pachistano, 22 anni: «Non potevo fermarmi, la pioggia era forte ma non importava a nessuno, io mi preoccupavo anche dei miei colleghi. Questo lavoro mi piace ma in quelle condizioni bisognerebbe bloccare il servizio»

11 ottobre 2024
Biennale arte di Venezia. Onestamente non ricordo il nome di tutti gli artisti che esponevano, erano tantissimi. Mi basta ricordare parte di quello che mi ha colpito.























Scritto su Facebook il 10 ottobre 2024:
Qui confesso il peccato di pregiudizio. Leggo che il nobel per la letteratura è andato a Han Kang, una scrittrice coreana, e mi dico che è il solito geograficamente corretto a cui sottostà un po’ troppo spesso l’accademia svedese. Poi mi cade l’occhio su una recensione entusiastica di Piero Citati e mi chiedo se non sarà il caso di informarmi. Vado sull’anteprima di Google de “La vegetariana” e mi dico “cazzo che incipit!”
Mi tocca leggere la coreana, l’ho capito. Inizio strepitoso, mi auguro che mantenga anche il resto.
PS di qualche mese dopo: Cazzo se ha mantenuto anche nel resto. STRE-PI-TO-SO.

Scritto su Facebook il 29 settembre 2024:
Accadono miracoli anche senza santi in paradiso. O forse i santi in paradiso se ne stanno lì incollati al loro scranno per paura di perdere status e agevolazioni. Anzi, tolgo il forse, inutile fingere di essere diplomatico.
Ieri sera vado al cine con l’amica di sempre e, pensando che la stagione è appena iniziata e non c’è molta scelta, ripieghiamo su Vermiglio che a Venezia ha vinto il Leone d’Argento. Ma avevo sentito critiche blande, quasi di cortesia, come se dovessero per forza parlare bene almeno di un film italiano e avessero scelto di farlo con quello davvero più alternativo.
Orbene, “Vermiglio” è un film IN-CAN-TE-VO-LE, ME-RA-VI-GLIO-SO, superbamente recitato da non professionisti o quasi, con una regia superlativa e con una sceneggiatura da manuale, tanto è pregna, intelligente, mai gridata e pure ricostruisce un mondo.
Avevo lo sguardo vergine, e la mia amica pure. Ossia non sono un nostalgico del bel tempo che fu, non amo la montagna, non me ne frega nulla del tempo di guerra, eppure un filmino girato con due soldi del finanziamento pubblico, senza protezione dell’intellighenzia cinematografica (ma siamo sicuri che sia intellighenzia?) né recensori che spingano a manetta è riuscito a incantarmi e ha fatto lo stesso con la mia amica.
Vero che i gusti sono gusti, ma di cinema ne capisco e mi sembra assurdo che i media pompino cosacce di nessun valore, che i potenti di Cinecittà se la cantino facendo in continuazione monumenti al proprio ombelico e giornalisti e influencer del settore non dicano quello che è: il cinema italiano è in gran parte del tutto inutile e autoreferenziale. Ci sono autorevoli eccezioni per carità, ma la maggior parte di quanto si produce ora è aria fritta presuntuosa o sciatta. Tanto per essere chiari, dei mal di pancia esistenziali dei soliti quattro noti non me ne frega niente. Non faccio nomi, ma l’elenco sarebbe lunghissimo, non lungo.
Ci sarebbe poi da aprire un’altra polemica sui critici cinematografici, che non sanno più fare il loro mestiere e scambiano l’argomento del film per il film stesso. Senza riuscire a capire o a vedere quello che è narrato bene e quello che è una ciofeca presuntuosa o biascicata. Ma sarebbe il loro mestiere indirizzare il pubblico, e non lo fanno.
MAURA DELPERO (chi è costei? solo la regista, un’incantevole regista) sei una grande. Mi auguro che da qui spicchi il tuo volo, te lo meriti e, se non riuscissi a ripetere il miracolo, uno ne hai già fatto, e dici poco?
Nonostante l’invettiva, continuo ad adorare il cinema e in una stagione se vedo dieci film interessanti e un capolavoro sono assai contento. Il capolavoro per quest’anno l’ho visto e si chiama Vermiglio, il resto è tutta una discesa.
https://www.youtube.com/watch?v=701RfY55ppQ
Scritto su Facebook il 16 febbraio 2021
Ho letto il libro per caso dopo una recensione che mi aveva incuriosito. Mi ha entusiasmato, al di là di ogni aspettativa. La vicenda è autobiografica e narra di un ragazzino gay figlio di una madre bellissima e alcolizzata, ripercorrendo le varie tappe del calvario fino alla prevedibile autodistruzione. A mano a mano che la donna sprofonda nel suo personale inferno, il ragazzino trova comunque una sua forma di riscatto e maturità, nonostante tutto intorno gli venga levata con brutalità e disincanto ogni forma di speranza e di aiuto. Dovrà cavarsela da solo e ce la farà, avendo tutto contro. Scritto con grande sapienza letteraria e proprietà linguistica rara, nonostante l’autore sia un esordiente più che quarantenne. Ha vinto giustamente il Booker Prize inglese e mi auguro che ottenga il successo che merita. A fronte di tante nullità letterarie ingiustamente pompate, il libro di Douglas Stuart merita davvero.

Questo lo scrissi su Facebook il 12 maggio 2019, qualche giorno dopo che il libro era uscito. Ci vidi giusto.
Senza possibilità di dubbio il #migliorlibroitaliano degli ultimi dieci anni. Jonathan Bazzi sei uno scrittore, un grande scrittore. Leggetelo!
